mercoledì 30 settembre 2015
Figli di insegnanti
Topic di oggi: gli insegnanti e i loro figli.
Mamma è un'insegnante, e io sono sua figlia.
Quando ero alle elementari, mamma la vedevo sempre. Insegnava nella scuola dove andavo io: lei ogni giorno ci stava un quattro-cinque ore, io otto. Dannato tempo prolungato.
Dal momento che io a casa c'ero prima delle otto e dopo le quattro e mezza -e mamma aveva lo stesso orario di lavoro- voi potreste pensare che appena uscita/e da scuola mamma e io stessimo sempre insieme, facendo tutto ciò che una mamma e una figlia insieme possono fare.
E invece ... non era proprio così scontato. Perché, finito l'orario scolastico, a mamma toccavano i collegi docenti (detti anche "collegi indecenti"), le riunioni, le programmazioni (che poi io non ho mai capito che diavolo programmavano!), interclasse, riunioni con gli altri insegnanti del circolo didattico, progetti di omicidio del dirigente scolastico, riunioni per il POF - che non è l'onomatopea delle feci che cadono nel gabinetto ma è il piano dell'offerta formativa (che io non ho ancora capito che cosa sia dopo tredici anni di scuola) - e le riunioni per la continuità sia con le materne che con le medie. Tutti i santi giorni. Quindi diciamo che mamma a casa prima delle sette e mezza di sera non c'era mai.
Cinque anni dopo, approdo alle medie. Grazie al cielo non ho più il tempo prolungato - yeeee! - e quindi torno a casa alle due. Mi aspetta un solitario pomeriggio in compagnia dei miei stramaledetti compiti. E li faccio. Non li capisco, ma li faccio.
E' lì che capisco la differenza tra mamma insegnante e papà informatico. Se non mi viene un'espressione in matematica, mamma me la spiega mentre papà la svolge e me la fa copiare senza spiegarmi i passaggi né dove ho sbagliato. E poi si chiedevano com'è che io di matematica non avessi mai la sufficienza se non grazie a qualche miracolo (o ai bigliettini con le formule nascosti dentro le tavole numeriche).
Al liceo...mamma chi la vede più? Davvero, non c'è mai a casa. E' sempre a scuola. Sempre in quella cavolo di scuola a insegnare a quei cavolo di alunni e a riunirsi con quei cavolo di colleghi coordinati da quel cavolo di dirigente scolastico. Mamma la mattina esce alle otto meno un quarto, insieme a me. Ma, a differenza mia, non torna mai a casa prima delle otto e mezza di sera. Una gioia, vero?
E va da sé che quando mamma torna a casa, dopo millanta ore di scuola, definirla isterica mi pare un eufemismo. Lo vedo che ha la testa che le scoppia e che ne ha per le balle di ascoltare i problemi che possono avere due figlie, una liceale e una ancora alle medie. Però io voglio fare due chiacchiere. Ma no: ha la testa che le scoppia. E allora va da sé che io mi chiudo nel mio mondo. E non è così difficile: basta mettere gli auricolari e attaccarli all'iPod o al computer. Non è affatto difficile. In quel mondo tutto ha senso, tutto funziona. E soprattutto, in quel mondo non mi sento sola. (E poi uno mi chiede perché mi piace stare da sola. Semplice: mi ci sono abituata)
Perché in effetti i figli degli insegnanti passano tanto tempo da soli. Gli insegnanti infatti mettono - come è giusto che sia - il loro lavoro prima della loro famiglia. Ogni tanto chiedevo a mamma se lei sapesse di avere un marito e due figlie, dal momento che c'erano dei giorni in cui non ci incrociavamo nemmeno per sbaglio girando per casa. Mi sentivo dire, giustamente, che quello era il suo lavoro e che di beccarsi tutte quelle riunioni non lo aveva scelto lei. "Mi sembra logico, sennò saresti una deficiente", pensavo.
Mamma trascorre molto più tempo con i suoi alunni che con me e con mia sorella. Ora io vivo fuori e questo è un altro discorso...ma mia sorella, che adesso ha 15 anni, sta passando esattamente quello che ho passato io quando avevo la sua età. (Sembra che stia parlando di un passato preistorico, ma giuro che non sono così vecchia!) Solo adesso forse si sta rendendo conto di cosa vuol dire avere una mamma che è sempre a scuola a fare dell'altro, e che quando hai bisogno di parlare con lei ha la testa che scoppia e l'unica cosa che vorrebbe è il silenzio assoluto. Che non ha, perché ha due figlie. O le figlie o il silenzio. Non hai altre possibilità di scelta, è un aut-aut. O per dirla in tedesco, è un entweder...oder.
L'insegnante, come tutti i lavori, richiede tanta pazienza, attitudine e ... nervi saldi.
Non si può fare contemporaneamente l'insegnante e il genitore.
O il lavoro o i figli.
Un avvocato lavora con documenti. Un informatico lavora con computer. Un biologo lavora con parameci e esserini unicellulari.
Un insegnante lavora per la formazione di persone che saranno gli adulti di domani. Hanno una responsabilità gigantesca. Non possono permettersi di svolgere il loro lavoro alla carlona (o per meglio dire: alla cazzo). Non possono nella maniera più assoluta. Quindi o questo o quello. Non tutti e due. A meno che tu non sia Wonder Woman: in tal caso... ok, tutti e due. Un insegnante, appena arriva a casa, finisce di frantumarsi i nervi dovendo star dietro ai figli. E poi è ovvio che il giorno dopo a scuola non ce la fa e fa la sua lezione con le scatole girate e senza nemmeno un briciolo di entusiasmo. (Ecco perché voi dite che gli insegnanti sono degli incompetenti)
Con questo non intendo dire che gli altri lavori sono meno faticosi, e non voglio neanche dire che solo i figli degli insegnanti vivono questa situazione.
Dico solo che PORCA DI QUELLA MISERIA il prossimo che viene a dirmi che gli insegnanti non si devono lamentare perché hanno due mesi di ferie d'estate, quindici giorni a Natale e una settimana a Pasqua e perché lavorano solo quattro ore al giorno per cinque giorni a settimana si prende una sprangata sulle gengive.
lunedì 28 settembre 2015
Giornata coralmente bella
Ieri i belliffimi (scoprirete presto perché) cori in cui canto si sono avventurati nella provincia di Pordenone. Obiettivo: una giornata corale.
Riassunta così.
Preparazione di divisa, cena al sacco e tutto ciò che un concerto richiede: 40 minuti. Di solito ci metto almeno due ore.
Viaggio in pullman durante il quale scopro che i miei spartiti sono al contrario rispetto alla scaletta di entrambi i concerti.
Si arriva sul posto. Ad accoglierci, un tiepido sole e tanti, tanti cori. Noi siamo uno dei tre cori ospiti, in fondo. Ci si mette la prima divisa: polo colorata e pantaloni neri. Foto arcobaleno con coristi sorridenti!
Primo concerto. Prima di noi canta un coro di alpini. Esattamente a metà della loro esibizione, le campane attaccano a suonare di brutto. E' mezzogiorno. E suonano per un casino di tempo. Non potete sapere i miei timpani come stavano.
E insomma, si canta. Pezzi mai provati, posizione mai provata, acustica ... facciamoci una risata. Non solo non sentivo le altre sezioni né tantomeno la tastiera...ma non sentivo nemmeno i miei vicini!
Un corista che attacca fuori tempo c'è sempre. Stavolta succede con "Nel blu dipinto di blu". Bene, abbiamo davvero inaugurato la stagione corale.
Non si capisce bene come, ma siamo arrivati alla fine.
Pranzo vicino a un coro di alpini che evocano il cibo armonizzando un "Gavemo fame!!!" molto apprezzato.
Ci si va a cambiare per il secondo concerto. Camicia nera, foulard rosso (che fa "veri veri profèscional") e pantaloni neri. E intanto fi fanno i felfie. I belliffimi corifti di Triefte che fanno i felfie. Tutto deriva da un'immagine stupidissima trovata su Facebook di non mi ricordo chi che dice "Facciamo un felfie!" e quindi siamo andati avanti così a fare foto decisamente demenziali. Ma ci siamo divertiti tantissimo.
Secondo concerto. Imperdibile un corista che, a dieci minuti dal concerto, tira fuori la grappa.
Dopo il concerto proviamo, insieme a un altro coro femminile, "Hallelujah" di Leonard Cohen arrangiato da un certo direttore di fama internazionale che chiameremo con il nome di fantasia di "Cadrega". Chi sta in ambiente corale sa di chi si parla, o lo può intuire facilmente. In ogni caso, Cadrega fa anche degli arrangiamenti fighi... ma non questa volta. Era l'arrangiamento più inutile della storia. Ma soprassediamo. Torniamo ai camerini: proprio là ha inizio la sfilata dei cori per le strade del paese.
La mia compagna di deliri, che chiameremo con il nome di fantasia di "Compagna di deliri", si fa prendere dall'entusiasmo. Senza nemmeno guardarci, nello stesso momento rievochiamo l'ignoranza di Enrico Papi urlando "MOOOOSECAAAAAAAA!!!!!!!!!!" Chi guardava "Sarabanda" su Italia1 sa di cosa parlo. Chi non lo guardava... beh, siete meno ignoranti di noi, e per questo vi invidio un po'.
Gli altri due brani d'insieme, oltre al brano arrangiato da Cadrega, sono due brani che chiameremo con i nomi di fantasia di "Reginaldo" e "Va' pensiero". Mentre il secondo forse sarà noto ai più, il primo decisamente non è riconoscibile. Si chiama "Canticorum jubilo", ma per noi è "Reginaldo". Quando lo abbiamo letto la prima volta, anziché "regi magno" abbiamo capito "Reginaldo". Mi raccomando, ci dicevamo a prova, nessuno deve ridere e nessuno deve cantare "Reginaldo" perché le parole sono "regi magno". E indovinate chi era il contralto esterno che ha sbagliato le parole e per poco non è stata assalita da un attacco di ridarola? Esatto. Poi ho scoperto che anche un soprano ha commesso lo stesso errore, e quindi mi sono sentita anche meno stupida.
Il secondo brano è "Va' pensiero", che possiamo anche chiamare "Il brano del corista che ziga" (Per i non triestini: zigar = urlare). Quando i coristi narrano che un corista - ieri assente - canta perennemente in playback meno "Va' pensiero" durante il quale ziga di brutto, non puoi pensare di non riuscire a ridere mentre sei lì sul palco. E ridendo sotto i baffi ancora un po' ti strozzi, respirando troppo di fretta e troppo presto e salvandoti in corner sulla nota lunga finale.
Ci si corre a cambiare, si zompa sul pullman e si torna a casina. Stanchi ma felici. Ma tanto stanchi eh.
E' stata davvero una bella giornata.
Non c'è niente di più bello di cantare in coro.
E' vero che quando canti i respiri di tutti vanno all'unisono, è vero che siamo tutti lì con tanta passione e tanto entusiasmo con la voglia di cantare bene ma soprattutto di divertirci.
Non nascondo che per me non è sempre stato così leggero cantare in coro. Ho avuto un lungo periodo di crisi dal quale sono uscita semplicemente trasferendomi a Trieste.
Un grazie davvero immenso a tutti i coristi perché mi fanno sentire in famiglia, perché sono sempre cocolissimi, perché mi fanno tanto ridere, perché sopportano le mie idiozie, perché ridono davanti ai miei appunti stupidi sugli spartiti, perché forse hanno capito che un minimo di potenziale ce l'ho.
E giusto ieri ho scoperto di essere l'unica non triestina del coro. E sono ben contenta di esserla.
Come diceva il vecchio Nietzsche, "Ohne die Musik wäre das Leben ein Irrtum".
sabato 26 settembre 2015
La cassa rapida
Io sono piena di cose e sto cercando di metterle nei sacchetti senza distruggere niente.
O almeno facendo meno danni possibili.
Cassa: "Rimuovere tutti gli articoli imbustati"
Io: "Se non stai zitta ti rimuovo io"
giovedì 24 settembre 2015
Provaci ancora Prof!
Siamo arrivati alla sesta serie. Io la seguo dalla prima puntata della prima serie.
Protagonista: Camilla Baudino, una professoressa di lettere in un liceo, interpretata da Veronica Pivetti.
Camilla è una professoressa decisamente atipica. Perché? Semplice: perché parla con i suoi alunni, li ascolta, cerca di capirli, cerca di andare oltre i programmi del Ministero, cerca di aiutarli quanto più possibile ogni volta che sono implicati in qualche caso, cerca di capire cosa gli passa per la testa.
E infatti... è finta. E' il personaggio di una fiction.
Io avrei tanto voluto avere una professoressa come la Baudino. Una professoressa che mi aiuta così tanto come lei fa con i suoi alunni.
Valla a trovare una professoressa vera che aiuta così tanto i suoi alunni.
E vai anche a trovare una persona che davanti a Paolo Conticini riesce a rimanere impassibile.
Io non ce la farei.
Anno nuovo, orario nuovo
Ma del cavolo. Peggio di quello dell'anno scorso.
Lunedì avrò due ore di olandese e due di lettorato francese.
Martedì avrò due ore di lettorato tedesco e due ore di LIS.
Mercoledì (reggetevi forte) avrò: tre ore di Discipline sociolinguistiche e geografiche (non chiedetemi che cos'è, ma è una delle materie obbligatorie e quindi...,ndC), due ore di italiano, due ore di lettorato tedesco, due ore di lingua tedesca e due ore di lettorato francese. Per un totale di UNDICI ORE. Dalle 8 alle 19. Senza pausa in mezzo. Io credo che mi suiciderò.
In compenso fino a gennaio ho il giovedì libero. Poi a gennaio avrò tre ore di letteratura francese.
Per chiudere l'orario avrò al venerdì due ore di traduzione tedesca e due ore di traduzione francese.
Scusate, ma all'idea di dover affrontare così questo anno accademico mi viene male.
Questo sì che si chiama disagissimo.
martedì 22 settembre 2015
Alla ricerca del Problema
Houston, abbiamo un problema.
E non ci voleva una laurea per capirlo. Abbiamo davvero un problema.
Il problema ha un nome composto da sette lettere (anche il mio nome è composto da sette lettere... Coincidenze? io non credo) che inizia per T- e finisce per -edesco.
Insomma, sì... è un problema.
Quando ero in seconda liceo dovevo scegliere quale terza lingua fare. Già facevo inglese e francese, e dall'anno seguente avrei studiato anche tedesco o spagnolo. Ma quale delle due?
Ero fermamente convinta di voler studiare spagnolo. Assolutamente. Non chiedetemi perché, non lo so.
Un giorno una prof di tedesco - che poi è la prof che mi ha massacrata per tre anni - è venuta a fare supplenza nella mia classe. Ci ha insegnato due cosine in tedesco, come "Come ti chiami?" o contare da uno a dieci. Bene: queste due cosine mi hanno folgorata. E ancora una volta, non so perché. So solo che sono rimasta affascinata da quella lingua e da quei suoni così duri, così diversi da quelli dolci e zuccherosi del mio amato francese. Perché comunque il francese viene prima di qualsiasi cosa.
E insomma, ho deciso di iniziare a studiare tedesco. Con il senno di poi mi viene da dire: non l'avessi mai fatto.
Perché del tedesco non ci si libera mai. Il tedesco ti rimane appiccicato addosso. Una volta che entri nel vortice del tedesco, non ne esci più. E se credi di esserne uscito, in realtà sei più prigioniero che mai. E' come una corda che ti avvolge: più credi di liberarti, più lei ti stringe.
E qui arriva il Problema.
Il problema è che io con il tedesco, soprattutto all'ultimo anno, non ho avuto proprio un rapporto meraviglioso. Anzi. Diciamo pure che, complice la letteratura tedesca che dall'inizio del Novecento in avanti non mi è piaciuta nemmeno un pochino, lo odiavo proprio. Ogni giorno mi chiedevo perché diavolo non stessi studiando quella lingua caliente, accogliente ma soprattutto facile chiamata spagnolo. (Diciamolo chiaramente: per un italiano, lo spagnolo è facile. Non dico che sia facile in senso assoluto perché so che ha più eccezioni che grammatica... però in confronto al tedesco sembra quasi una barzelletta) (Dopo questo, mi aspetto una mandria di iberofoni sotto casa con i manganelli e i fumogeni).
Nella Divina Commedia tenevo un segnalibro che in inglese diceva così:
Più studi, più sai.
Più sai, più dimentichi.
Più dimentichi, meno sai.
Ma allora perché studiare?
Ecco. Ma allora perché studiavo tedesco se tutto quanto mi entrava da un orecchio e mi usciva dall'altro?
A questo punto cosa rimane da fare? Diplomarsi (trallallero trallallà!) e liberarsi del tedesco. O così pare.
Perché il test di scuola interpreti l'ho fatto sia in francese che in tedesco. Il fatto che non l'abbia passato in nessuna delle due lingue è un dettaglio.
A quel punto me ne resto nella mia città a fare un anno di Lingue e letterature straniere. Francese è d'obbligo perché al mio grande amore non riesco a dire di no. E l'altra lingua? Di studiare ancora tedesco non ne ho voglia. Non mi va di studiare una lingua che odio. E allora la scelta cade sullo svedese. Perché? Perché sono cretina, ecco perché. Avrei potuto fare una di quelle lingue mainstream tipo inglese, spagnolo, portoghese o che ne so io. E invece no! La cretina che va a studiare svedese!
Ed eccolo di nuovo, il Problema.
Il problema è che lo svedese è un misto tra l'inglese e il tedesco con una pronuncia strana. Una sorta di tedesco sporco. Comunque meno sporco dell'olandese, il Calimero del tedesco.
E insomma, non riesco a studiare bene svedese perché il tedesco fa interferenza. Una lingua che so male fa interferenza su una lingua che so ancora peggio. Andiamo bene. Ma forse i miei genitori quando dicevano che quella delle lingue non era la mia strada...non dicevano proprio delle cazzate.
Ma io, testarda e cocciuta, vado avanti.
E allora facciamoci quest'anno di svedese con interferenza di tedesco. In pratica...svedesco.
Durante l'anno di svedesco sentivo che mi mancava qualcosa. Ma cosa? Non riuscivo a capirlo.
Dopo lunghe riflessioni, sono arrivata a una conclusione: a mancarmi così tanto era il tedesco.
Anche grazie ai musical l'ho un pochino ripreso, con la promessa di recuperarlo al cento per cento se avessi passato il test a scuola interpreti (il mio Trieste-II).
Una volta passato il test, ho ricominciato a studiare tedesco.
E via con attacchi d'ansia, panico e senso di inadeguatezza. A lezione mi deprimevo e mi veniva da piangere, mi sentivo un'emerita pippa in confronto a tutti gli altri miei compagni di corso.
Appena uscivo dall'università però tornavo nel mio mondo fatto di musical, di musica sacra e di performer. Magicamente tutto tornava, e il tedesco tornava a essere il mio amico di sempre.
Ma poi mi devo rimettere sui libri. E di nuovo il panico e l'ansia.
Quindi ho capito qual è il problema.
Il problema non è il tedesco. E il problema non sono nemmeno io.
Il Problema è che io studio tedesco.
lunedì 21 settembre 2015
Ma io me ne vado
Oggi abbiamo avuto i risultati.
18 candidati.
12 bocciati.
Ma forse qui dovremmo farci due domande.
Se siamo davvero noi che siamo dei deficienti o se sono le lettrici che sono delle simpaticissime merde.
In der Nähe des Flußes
Ein Mann, eine Frau.
Es war ein sehr langes Gitter.
Die Frau war auf eine Seite des Gitters, der Mann war auf die andere Seite.
Er war in einem Garten, sie ging auf die Straße.
Er ging langsam, sein Gehirn war voll von Gedanken.
Sie sah ihn und sofort schrie sie seinen Namen.
Er ist umgedrohen und mit seinem tiefen Blick hat sie immobilisiert.
Dann hat er sie erreicht. Seine Schritten waren langsam aber gleichzeitig überzeugt.
Er hat seine Armen durch das Gitter gestreckt.
Durch das Gitter hat sie ihr Gesicht eingespannt.
Hin umarmte er sie.
Her kusste sie ihn leidenschaftlich.
Lachen. Umarmungen. Leidenschaftliche Küssen.
In der Mitte war das machtlose Gitter.
Sie sind lange dort geblieben.
Das Leben herum ging weiter.
Aber who cares.
Alles war voll von Liebe.
Eine sehr starke Liebe, die der Zeit und der Entfernung widersteht ... und die auf die Gitter pfeift.
Originelle Version
Du hast mir deine Geschichte erzählt. Ich habe diesen Text tausendmal gelesen und habe gedacht, das zu übersetzen. Auf Italienisch klingt es natürlich besser, weil Italienisch eine mehr leidenschaftliche Sprache ist. Aber ja... auf jeden Fall möchte ich dir danken weil du das geschrieben hast. Das ist echt leidenschaftlich und ich weiß, dass dieser Mann dir Glück gebracht hat. Dafür könnte ich nicht glücklicher sein.
Ich hab dich lieb, liebe Freundin aus Florenz.
domenica 20 settembre 2015
Mamma e la tecnologia
Ha uno di quei cosi che non fanno niente se non telefonare e inviare messaggi. Un telefono base. Uno di quegli aggeggi a prova di scemo.
I suoi alunni di 10 anni lo hanno simpaticamente definito "Paleofono".
Effettivamente sì, mamma ha davvero un telefono del Paleolitico. Pare che ancora funzioni, non si sa attraverso quale miracolo divino.
Mamma di conseguenza non ha WhatsApp. E non sa nemmeno come funziona.
Non le è chiaro il fatto che un messaggio su WhatsApp è più comodo rispetto a una telefonata. Magari una persona non può stare al telefono ma può leggere un messaggio. Per questo non comprende per quale ragione papà ed io non ci sentiamo per telefono ma utilizziamo WhatsApp. Anche perché io lo posso far bollire d'invidia inviandogli le meravigliose foto degli impareggiabili tramonti triestini, delle locandine dei concerti che vado a sentire, i miei selfie stupidi o qualsiasi cosa mi passi per la testa. Al telefono posso descrivere ma non rende l'idea.
"Ma perché non lo chiami?", chiede. "Perché abbiamo WhatsApp", rispondo.
"Perché non scrivi un blog sul mio telefono?"
Aspetta aspetta ... un blog?!
Ah ma tu volevi dire un post!
Un post ci può stare, ma dedicare un intero blog al telefono macinino mi sembrava un po' eccessivo...! E' che la mamma tecnologica non ha chiara la differenza tra post e blog. Il post è quello piccolo, il blog è quello grosso.
A mamma fa ridere la categoria "Disagissimo". Le piace talmente tanto che ha deciso che prima o poi aprirà un blog chiamato "Il disagissimo degli insegnanti".
Lettori avvisati.
sabato 19 settembre 2015
Di musical, di performer e di lingue straniere
Da qualche anno i miei due grandi amori vanno di pari passo e sono strettamente collegati.
Infatti la mia conoscenza delle lingue va a braccetto con quella dei musical al punto da decidere quali lingue studiare in base ai musical che più mi piacciono.
La decisione di studiare olandese deriva dal fatto che io abbia sentito alcuni brani di "Elisabeth", de "Il Re Leone" e di "Tarzan" di cui mi sono innamorata dopo uno o due ascolti. E quindi sì, diciamo pure che i musical mi hanno fregata. L'olandese in coppia con il tedesco è una scelta decisamente stupida, ma se al cuore non si comanda... andiamo avanti così. Anche perché non posso fare altrimenti.
L'unica lingua che non è stata toccata dai musical è il francese. L'amore per il francese va ben oltre quello per i musical. Non sono nemmeno lontanamente paragonabili. Quello per il francese è ben più forte e dura da molto più tempo. Il francese mi accompagna infatti dalla prima media. L'anno accademico che inizierà a ottobre sarà l'unidicesimo che passerò a braccetto con questa lingua meravigliosa. Non riuscirei a non studiare il francese. Sarebbe come togliermi l'ossigeno.
Ma con il tedesco è successo tutto in modo diverso.
Una lite con la lingua tedesca. Un'intervista di una performer, la quale nomina un musical. Un ascolto di un brano a caso. Folgorazione. Consapevolezza che il tedesco è davvero la lingua che voglio studiare. Ma poi...la decisione di prendermi un anno di pausa. In quell'anno...musical a manetta. E sì, il tedesco mi manca. Il tutto scoperto grazie a tre performer olandesi: Pia Douwes, Maya Hakvoort e Annemieke van Dam.
Annemieke era Elisabeth quando sono andata a vedere il musical a Vienna. Pia è quella che mi ha folgorata quando ho sentito casualmente quel brano. Maya è quella che quando canta mi fa commuovere toccando le corde più profonde della mia coscienza.
Il 23 ottobre sarò nuovamente a Vienna per una rapida toccata e fuga musicale al Raimund Theater per una super serata di musical, una sorta di Greatest Hits, con i più grandi performer dell'area germanofona.
Ho realizzato adesso che ci saranno anche Maya Hakvoort e Pia Douwes.
Sentire queste due grandi, immense performer dal vivo è un sogno che si realizza.
E a questo punto: se per qualche improbabile caso dovessi riuscire a parlare con loro... riuscirei a non svenire dall'emozione? Perché diciamolo, è anche grazie a loro se faccio quello che faccio.
Staremo a vedere.
Intanto ho già la pelle d'oca all'idea.
giovedì 17 settembre 2015
Cantare in lingua
Da quando canto nel coro qui a TiEsse ho studiato almeno un brano in:
-italiano
-tedesco
-sloveno (o meglio, dialetto resiano. Un dialetto sloveno in via di estinzione. Incomprensibile anche agli sloveni stessi)
-latino
-greco
-russo
-inglese
Cantare in coro è il metodo migliore per conciliare le mie due passioni.
Cosa voglio di più?
mercoledì 16 settembre 2015
D-Day
Il giorno in cui ho dovuto dimostrare a me stessa di non essere quella schiappa che penso e in cui ho davvero capito cosa mi ha dato stare un mese in Austria.
Molto di più di quello che credevo.
Ma partiamo da principio.
L'esame di oggi era composto da due moduli:
-modulo della prof che per comodità chiameremo Moira Orfei - o più semplicemente Moira - che era di grammatica;
-modulo della prof JAAAA che era comprensione dell'orale, comprensione dello scritto e produzione scritta.
Se non passi anche solo uno dei due moduli, devi rifare tutto l'esame. Sì, anche se un modulo lo hai passato devi rifare tutto. Che crimine, gente, che crimine.
Prima ci sono i due ascolti, che di solito mi fanno venire il panico. Forse è la parte in cui faccio più fatica. Io devo rispondere a una domanda, e capisco tutto meno la parola chiave in cui è contenuta la risposta. Anche oggi è successo, ma non ho ceduto di un millimetro e di sana pianta mi sono inventata una risposta che potesse essere vagamente simile a quello che avrei dovuto capire e che non ho capito.
E a questo punto, terminati i due ascolti, si va avanti con comprensione del testo, produzione scritta e grammatica. Per fare il tutto abbiamo tre ore di tempo.
Comprensione del testo vuol dire che hai davanti a te un testo parecchio lungo con delle domande a crocette (vero o falso). Che sono quelle che ti fregano, perché magari la prima parte della frase è vera e la seconda è falsa, e quindi devi mettere falso perché c'è la seconda parte che ti frega tutta la domanda. Infatti tantissime volte durante le simulazioni sbagliavo perché non leggevo tutta la frase fino in fondo. Cretina. E infatti le sbagliavo quasi tutte. Stavolta penso di averlo fatto non dico bene ma per lo meno meglio del solito.,
Poi c'è la produzione dello scritto. Il mio problema là è la coerenza grammaticale. Mi dimentico sempre le desinenze degli aggettivi, mi dimentico le preposizioni, confondo i casi .... insomma, faccio un gran casino. Stavolta però ero stranamente sicura di quello che stavo scrivendo. E' vero che un mese di Vienna mi ha fatto bene. Infatti nella mia testa tutto aveva stranamente senso, era tutto filante, corretto e preciso. (E fu così che poi fece qualche miliardo di errori e non passò l'esame...)
E a quel punto arriva l'ultima parte, la peggiore: la Grammatica di Moira. L'incubo di tutti coloro che hanno la (s)fortuna di studiare tedesco alla SSLMIT di TiEsse. Inutile dire che a quel punto sì che mi è venuto il panico.
Esercizio 1: non lo so fare.
Esercizio 2: ma che cavolo è?
Esercizio 3: passivo di merda, non ti so.
Esercizio 4: eh???
Premesse ottime, direi.
Se non che mi sono detta che porca miseria sono stata un mese in Austria. Devo aver imparato qualcosa per forza. E allora piano piano ho capito che in Austria - sostanzialmente - ho imparato a scrivere cazzate e a seguire il mio orecchio. Infatti ho fatto tutti e quattro gli esercizi spudoratamente a orecchio. Se ho preso almeno 18 nel modulo di Moira giuro che grido davvero al miracolo.
Ora sono veramente cotta. Ho il cervello in pasta, credo di essere disgrafica, probabilmente ho scritto davvero troppe cazzate tutte insieme.
Ma sono anche strafelice perché finalmente oggi esce "Inside Out" al cinema! Ora, è cosa nota che io non amo andare al cinema. Ma "Inside Out" s'ha da vedé.
Così almeno diamo un senso a tutto il disagio di oggi.
martedì 15 settembre 2015
Hai presente...?
Hai presente quella sensazione di inadeguatezza che ti prende il giorno prima di un esame?
Quella sensazione di non valere niente?
Quella sensazione di avere nel cervello niente di meno che aria fritta (cit. Prof di italiano del liceo)?
Quell'orrida, malefica sensazione di poter scoppiare a piangere da un momento all'altro?
Quella sensazione di vuoto che ti prende quando pensi "Ma che cavolo ci faccio qui??"
Quel momento in cui ti chiedi se forse non era meglio rimanere a Genova a studiare nella comodità di Lingue e letterature straniere e non nell'ansia della scuola interpreti più prestigiosa d'Italia, quel momento in cui ti sembra di aver buttato nel cesso un intero mese trascorso in Austria, quel momento in cui sei talmente vuota dentro che inizi a riempirti di cioccolato strafregandotene della linea, quel momento in cui non riesci nemmeno più a pensare lucidamente?
Tutto questo sono io adesso.
E domani ho un esame di tedesco che mi farà sentire ancora più inadeguata di quanto già io non la sia.
Ho scritto in un italiano a dir poco osceno. Ma poco importa.
Io domani devo far finta di sapere un bel po' di tedesco.
....perché cavolo non ho fatto spagnolo?
Ma dove vai se l'italiano non lo sai?
Intanto: esame di merda. Ma di merda. Ma talmente di merda che non c'è la parola giusta per esprimere quanto di merda sia stato questo esame. Forse nemmeno il buon vecchio Dante avrebbe saputo trovare un'espressione all'altezza della situazione.
In ogni caso, stamattina ero non dico tranquilla ma meno tesa del solito.
Ho dato un ultimo giro di ripasso a qualcosa, ho riletto un po' due robe a caso, ho dato un'ultima occhiata alle 143 domande possibili.
L'esame si compone infatti di sette domande, prese da un elenco di 143 domande che ci è stato fornito direttamente dal nostro professore, che potrei anche chiamare Docente Indecente. Se avete letto lo sfogo italiano avete capito per quale ragione. Ovviamente dovrò trovargli un degno soprannome, perché non è l'unico D.I. della SSLMIT. E' che chiamarlo con il soprannome con cui tutta la SSLMIT lo identifica non sarebbe molto comodo. In ogni caso... procediamo, anziché perderci in cazzate.
Avevo l'esame alle 14h30. Questo orario è sul podio per gli orari del cavolo per gli esami. Con l'abbiocco del dopo pranzo, un esame non è propriamente il massimo della vita.
Arrivo e ... che bello rivedere i colleghi, anche quelli meno simpatici. Ma...che due palle vederli in quel contesto. Avrei preferito, che so.... alcuni rivederli direttamente a lezione, altri vederli in giro per il centro...e altri non vederli mai più nella vita. Ma fa niente.
Entriamo in aula e ci sediamo aspettando D.I. che arriva con la camminata tipo Stanlio&Ollio, bello sciallo. Ah già, quelli che devono fare l'esame siamo noi. Lui bello tranquillo e con così tanto sadismo addosso che la metà è abbastanza.
E insomma, ci dà il foglio con le sette domande.
Domanda 1: non la so.
Domanda 2: non la so.
Domanda 3: non la so.
Ma forse la domanda 1 la so.
Ma forse so anche la 2. La 3...boh.
Domanda 4: forse la so, ma non ne sono sicura.
Domanda 5: non la ... no dai, qualcosa ne tiro fuori.
Domanda 6: ci posso arrivare.
Domanda 7: .....ma che minchia è questa roba????
Bene, dopo un primo attacco di panico prendo carta e penna per cominciare a scrivere qualche cazzata che c'entri almeno in parte con le domande a cui devo rispondere. Tipo: non posso insultare il mio professore ma posso provare a dare una definizione decente ai sistemi di riferimento temporali (di cui - detto tra noi - non me ne frega una cippa di niente).
Mano a mano che scrivo mi rendo conto di stare scrivendo una quantità di stronzate tale che ci verrebbe fuori un libro, oltre che a probabilmente un Nobel o qualcosa del genere per aver rivoluzionato la linguistica e buttato nel cesso anni di studi del buon vecchio Saussure, che - povero - si starà rivoltando nella tomba.
Me ne frego e consegno.
Se è andata bene, ho preso qualcosa intorno a 19. Che devo accettare per forza, perché in questa bellissima facoltà i voti NOOOOOOOOON si possono rifiutare. Bello, hein?
Se invece è andata male.....che bello, D.I. ed io ci rivediamo il primo di ottobre.
Ma dove vai se l'italiano non lo sai?
lunedì 14 settembre 2015
Disagio applicato e bruciato
Mi ha dato una notizia bella. Ma bella. Ma talmente bella che il neurone solo ci è andato pesante con l'empatia ed è impazzito completamente.
A parte il fatto che mentre leggevo i messaggi il neurone solo si alzava, applaudiva e faceva la ola... ma poi ha scatenato in me una serie di reazioni non proprio normali.
Erano le undici di sera e io ancora stavo studiando. Ero stanca e volevo farmi una camomilla. E invece ho messo in infusione il the al limone. E se c'è una cosa che mi sveglia, è proprio il the al limone. Poi: è cosa nota che io metto tanto zucchero. Di solito, due cucchiaini. Ieri ne ho messi quattro. Potevo versare il the nella zuccheriera, avrei fatto prima.
Proseguiamo con la serie "Ma dove diavolo ho la testa?" dimenticandomi che magari il pentolino dove c'era l'acqua.... è bollente, e quindi mi sono anche bruciata un dito. Perfetto, direi. Cos'altro può succedere? Niente, andiamo a dormire prima che venga su qualche altro casino.
Quando lo stress da esame inizia a essere tanto, è meglio se non faccio bollire niente.
(Anche in sessione estiva, prima di un esame, mi ero bruciata un dito toccando una teglia rovente! Dai, magari porta fortuna..!)
domenica 13 settembre 2015
Svisceriamo i testi
Dall'anno scorso, per necessità accademica, ho iniziato a sviscerare testi anche in altre lingue. Inizialmente sono partita con il tedesco utilizzando i brani dei musical perché pensavo che studiare la grammatica con qualcosa che mi piaceva mi avrebbe reso il tutto un po' più leggero. E così è stato. La grammatica tedesca improvvisamente aveva senso. Mi ricordavo meglio quali verbi reggevano dativo, quali reggevano accusativo, che preposizione andava con un verbo con un dato caso, quando il verbo va a fine frase, quando il prefisso è separabile e quando no e così via.
Poi, in vista dello stramalefico esame di olandese di cui avevo un'ansia che la metà era abbastanza, ho preso brani di musical in olandese e ho fatto lo stesso identico lavoro, che si è rivelato decisamente più proficuo di quello con il tedesco proprio perché la mia conoscenza dell'olandese è decisamente più bassa rispetto a quella del tedesco e quindi ho imparato molto di più.
Ieri sera, in preda all'ansia da esame imminente, ho ripreso un brano tedesco. Dopo un mese in Austria, analizzarlo è stato uno scherzo. Tempo di schioccare le dita e già avevo sviscerato l'intero brano. Per chi volesse commuoversi un po', il brano è questo. La canzone in questione non è da "Elisabeth" bensì da "Rebecca", un altro musical che mi ha conquistata in pochissimo tempo. Anche in questo brano è contenuta una frase che riassume un po' quello che io sono adesso.
Wir finden Stärke in Gefahr
und Hoffnung in schwerer Zeit.
Noi troviamo la forza quando siamo in pericolo
e la speranza nei periodi più difficili.
Ecco, chi mi conosce personalmente può facilmente capire perché io mi riconosca in questa frase.
Comunque, tornando a noi, ieri verso mezzanotte in preda all'ansia ho sviscerato per bene questo brano.
E adesso ho avuto la geniale idea di farlo anche in italiano.
Non so chi sarà la mia prima vittima. Mi affiderò alla riproduzione casuale del mio iPod. Vediamo chi mi suggerisce.
Anche se, per non essere emotivamente coinvolta, dovrei ascoltare un brano di Gigi D'Alessio.
Ma poi il mio neurone chi lo sente.
sabato 12 settembre 2015
Sfogo italiano
Questo neurone lo immagino a forma di omino.
Un omino piccolo e stilizzato, come quelli che disegnano i bambini.
Ecco. Questo omino per la maggior parte del tempo vorrebbe urlare, ma non lo fa. Perché ho imparato a dirgli di stare zitto.
Quando sento che questo omino vorrebbe urlare, apro il computer e scrivo.
E cosa scrivo?
Ah, nulla di che. Semplicemente lascio che l'omino nella mia testa si sfoghi. Infatti è lui che in questo momento mi sta dicendo cosa devo scrivere. E' lui che muove le mie dita sulla tastiera del computer. E' lui che mi sta dicendo di scrivere in italiano e di dominare il codeswitching che mi farebbe scrivere in francese o in tedesco.
Comunque, l'omino....cosa sta urlando?
Sta urlando che questo stramaledetto esame che devo dare martedì lo sta facendo diventare scemo. Figurati a me.
E' un esame che si basa sull'insieme di lezioni frontali più insensate della terra.
Un professore che blatera cose che non stanno né in cielo né in terra. Come tutti i professori, mi viene da dire. Diciamo che solitamente i professori dicono una marea di cazzate. Se ne trovi uno che non dice cazzate, puoi gridare al miracolo.
Comunque, come puoi pretendere di spiegare una cosa senza spiegarla davvero e fornendo solamente degli esempi che non c'entrano niente con quello che dovresti spiegare?
Per di più in una lingua malefica e complicata come l'italiano.
Perché diciamolo chiaramente: l'italiano è un po' una lingua del cavolo.
Sono la prima che passa il tempo a urlare che il tedesco è difficile, che è una lingua complicata, che è tutto così complesso, che non ci si capisce una cippa. Ma l'italiano è ben peggio.
Perché il tedesco è...tedesco. E in quanto tale, è preciso, ordinato e regolare. E anche ciò che è irregolare, nella sua irregolarità ha una sua regolarità. Anche i verbi irregolari a loro modo sono regolari. Ad esempio, nei verbi normali il participio ha la desinenza -t. I verbi irregolari li riconosci perché non hanno la desinenza -t. E quale desinenza hanno? -en. Semplicemente -en.
Non come in questo cavolo di italiano malefico in cui per imparare i verbi irregolari devi andare ad accendere un cero alla Madonna. Perché immaginate uno straniero che deve imparare - esempio classico - il passato remoto del verbo "cuocere".
Ora: chi cavolo lo usa il passato remoto del verbo "cuocere"? Nessuno.
Ma cosa ce ne frega che è "io cossi, tu cuocesti, egli cosse, noi cocemmo, voi coceste, essi cossero"?
A me personalmente, niente.
E dove la vedete la regolarità? Non c'è. E' un verbo irregolare, e infatti non c'è regolarità. Ho scoperto l'acqua calda.
E invece in tedesco i verbi irregolari, anche se irregolari, hanno una regolarità.
"Ich gehe" diventa "Ich ging". E quindi hai il tema, "ging-". A questo tema devi aggiungere le desinenze delle persone, ottenendo quindi "Ich ging, du gingst, er ging, wir gingen, ihr gingt, Sie gingen". E quelle desinenze sono uguali a tutti i tempi e a tutti i modi della lingua tedesca. Per dire.
Il tedesco è difficile, ma l'italiano è peggio.
E io sono ben felice di essere di madrelingua italiana perché almeno tutte queste cose le so in automatico e non devo stare a imparare qualche miliardo di eccezioni di una lingua del cavolo.
Per tornare al mio stramaledetto esame, parliamo un secondo dell'accettabilità grammaticale delle frasi.
Secondo voi, la frase "Se avevi spedito la lettera, adesso non saremmo nei guai" è grammaticalmente accettabile?
Per il mio professore, è grammaticalmente accettabile.
Ma dico io....STIAMO SCHERZANDO?
Sei un professore di lingua italiana, non di lingua francese! In francese infatti nel periodo ipotetico non si usa il congiuntivo ma l'indicativo. Quindi questa frase in francese sarebbe grammaticalmente corretta. "Si tu avais envoyé la lettre..." e blah blah blah.
Ma dal momento che siamo in lingua italiana, non è assolutamente ammissibile usare l'indicativo nel periodo ipotetico. O meglio, non nella frase secondaria del periodo ipotetico. Ovviamente nella principale è ammissibile. Nella secondaria però assolutamente no. Giusto per dire il livello di degrado.
E poi ci lamentiamo che la gente "inniorante" non sa il congiuntivo. Ma nascondiamoci tutti, va'.
Ancora un ultimo punto - anche se da lamentarmi ne avrei parecchio.
Dal salumiere: "Buongiorno, volevo un etto di prosciutto".
Lo volevi? E allora perché adesso sei qui e me lo stai chiedendo? Se lo volevi (tempo passato) non lo chiedi adesso (tempo presente)!
Si chiama imperfetto di cortesia, così dice la slide del mio prof.
Ma io mi chiedo... sono io l'unica cretina che usa sempre il condizionale presente al posto dell'indicativo imperfetto? Perché se chiedi una cosa devi usare il presente, non l'imperfetto!
Episodio significativo: con una mia amica qualche anno fa eravamo qui in zona, a Lignano. Decidiamo di prendere un gelato, e lei dice: "Buonasera, volevo un cono con (gusto1) e (gusto2)". Il gelataio la guarda e risponde prontamente: "Lo volevi. Adesso non lo vuoi più. Il prossimo!" Solo ora capisco perché ha risposto in quel modo. Roba che gli farei un applauso.
Perché usiamo l'imperfetto per indicare un'azione presente? Uno dei grandi dubbi dell'italiano.
Allo stesso modo: "Ma dov'è A? Boh, sarà di sopra". No, non sarà di sopra. E' di sopra. In questo momento mentre tu stai chiedendo dove si trova. Quindi se stai descrivendo un qualcosa che avviene nello stesso momento in cui tu stai parlando (quindi nel presente) perché diavolo usi il futuro? Lo chiamano futuro epistemico. Sembra una malattia tipo l'orticaria. O forse mi ricorda semplicemente la parola esantematico e quindi mi ricorda di quando ero piccola e mi è venuta la varicella? Non lo so. Sta di fatto che trovo assolutamente insensato utilizzare un tempo che non sia il presente per indicare un avvenimento che sta accadendo nello stesso momento in cui tu stai parlando.
Bene. Il mio omino si è un pochino sfogato e mi dice che sta un po' meglio. Anche le mie dita stanno meglio, avevano bisogno di "tapeter" un pochino sulla tastiera. Era tanto che non scrivevo così tanto e così di getto.
Come avrete visto, io mi lamento tanto della grammatica italiana ma sono la prima a scrivere in un italiano pessimo. Non sono sempre così, credetemi.
Se avrò ancora qualche sfogo italiano.... il mio omino sarà felice di urlare ancora un po'.
E volevo ringraziarvi per aver letto tutto fino a questo momento.
No. Vi voglio ringraziare ora. Quindi devo usare il presente. Perché l'avvenimento sta avvenendo adesso.
Va bene, adesso basta.
venerdì 11 settembre 2015
Un anno fa
Lingua Francese. Trentatreesima su novantacinque. Idonea. Ammessa.
Non ci credevo. Era troppo, troppo bello.
Non ci speravo nemmeno più. Mi sembrava di aver fatto un esame dignitoso ma non sufficiente per entrare. Chi ha sentito i miei commenti a caldo subito dopo l'esame si ricorderà che ero decisamente soddisfatta, ma si sa...i ripensamenti dei giorni successivi ti fanno venire mille dubbi. E quindi ero arrivata alla conclusione di aver fatto uno schifo e mi ero anche rassegnata. Per quello, quando ho aperto le graduatorie, ho iniziato a leggere dal primo dei non ammessi. Vediamo quanto ho fatto schifo.
E il mio nome non c'era. Era poco sopra, in neretto, penultimo del primo gruppo di ammessi.
Un'emozione troppo grande. Ho iniziato a urlare come se fossi posseduta. Ho trascinato mia sorella davanti al monitor chiedendole di leggere quel cognome, quel nome e quella data di nascita. Ero davvero io?
Da quel giorno la mia vita è cambiata.
Un anno fa non avevo fiducia in me stessa, adesso ne ho. Poca, ma ne ho.
Ho capito che posso combinare qualcosa di grande, e che sono abbastanza cocciuta per arrivare dove voglio.
Ogni tanto mi verrebbe voglia di mollare tutto e di andare a zappare sul Carso, ma poi mi ricordo come stavo quando ero a Genova. Mi ricordo di quanto ho lottato per arrivare dove sono adesso. E' un traguardo piccolo, ma per me è immenso.
Dopo un anno ancora non mi sembra vero. Per questa ragione mi godo ogni giorno qui.
Un anno fa ascoltavo un brano di un musical tedesco cantato da Stefania Seculin.
E' un brano che in sé porta tanto della mia storia.
Il secondo ritornello in particolare è il più significativo.
Am Rand der Welt fällt Gold von den Sternen
und wer es findet, erreicht was unerreichbar war.
Sein heißt werden, leben heißt lernen.
Wenn du das Gold von den Sternen suchst,
musst du allein hinaus in die Gefahr.
Ai margini del mondo cade l'oro delle stelle
e chi lo trova, raggiunge ciò che era irraggiungibile.
Essere vuol dire diventare, vivere vuol dire imparare.
Se cerchi l'oro delle stelle,
devi andare là fuori da solo nei pericoli.
(traduzione letterale che non rende minimamente giustizia al testo tedesco, ma fa niente. Bella la vita del traduttore!)
Io l'oro delle stelle l'ho trovato. Ho raggiunto quello che - per me - era irraggiungibile.
Un anno fa la mia vita era un punto di domanda.
Ora è tanti punti esclamativi.
Un anno dopo, voglio ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicino prima, durante e dopo.
Tutti coloro che mi sono ancora vicini e che mi sopportano e supportano nei modi più disparati.
E grazie anche a tutti coloro che mi hanno presa e buttata per terra. E' anche grazie a voi se sono qui.
E adesso prendiamo la rincorsa, finiamo questi due stramaledetti esami e partiamo con il botto. Un secondo anno accademico sta per cominciare!
Vita di un neurone solo
Liberamente ispirato a concerto per (qualsiasi strumento musicale) solo.
La verità è che io ho un solo neurone. Solo.
Un solo neurone solo.
Ho un neurone solo che è solo.
Ho solo un neurone solo.
Ho solo un solo neurone solo.
Mi sto ingarbugliando.
Comunque, spero che abbiate capito il concetto espresso in un italiano alquanto incerto e che continuiate a seguire i miei aggiornamenti. O meglio, i nostri aggiornamenti. Miei e del mio neurone solo.
mercoledì 9 settembre 2015
Il nuovo logo di Google
E lo hanno creato i russi.
Nooooo, non ho preconcetti sui russi.
lunedì 7 settembre 2015
Dislessia portami via
"...verbi finalizzati...."
Cosa leggo io:
"...verbi fidanzati..."
Mi sa che per oggi è il caso di smettere.
mercoledì 2 settembre 2015
Miramare un anno dopo
Piove, fa freddo, c'è vento, c'è un tempo del cavolo.
E io decido di andare a visitare il castello di Miramare in compagnia del mio camaleonte Pascal.
2 settembre 2015, esattamente un anno dopo.
Il tempo è come un anno fa: piove, fa freddo, c'è vento. E come un anno fa, sono a Miramare. In compagnia di Pascal e della mia nuova amica ImPaperatrice Sisi in versione duck.
Andando verso il castello, vedo una ragazza che sembra più o meno mia coetanea. E' insieme a sua madre, e stanno andando a prendere l'autobus per tornare in città.
Madre: "E allora quanti posti ci sono?"
Figlia: "Trentatré"
Presumo che stessero parlando dei posti a disposizione per entrare a scuola interpreti con francese come prima lingua. Il test qui a Trieste era ieri, mentre a Forlì era oggi.
E quindi, cara ragazza che hai scelto di provare il test per scuola interpreti solamente a Trieste... non so chi sei, non so di dove sei, non so nulla di te... ma spero soltanto che il castello di Miramare ti porti la stessa fortuna che ha portato a me un anno fa prima di fare quell'esame che mi ha cambiato la vita.
martedì 1 settembre 2015
Tag 31 : la Cecy, le valigie e una notte in viaggio
Ormai sono già arrivata a Trieste, ma è giusto raccontarvi la mia ultima giornata viennese.
Ci siamo lasciati quando ho detto che sono andata a dormire a mezzanotte e mezza. In realtà sono andata a dormire alle due perché avevo davvero troppe cose da mettere in valigia.
Insomma, con sei ore di sonno mi sveglio e finisco di mettere a posto casa, che devo (da regolamento) lasciare entro le 9. Benissimo, che problema c'è? C'è che il mio treno per l'Italia parte dodici ore dopo! E io cosa devo fare, girare tutto il giorno con una valigia, uno zaino, una borsa per il computer e altre due borse? Ma siamo matti?!
E infatti no. Mi dicono di andare nell'ufficio centrale, dove posso lasciare le valigie solo fino alle 15. E poi arrangiati.
L'ufficio è vicino al Rathaus. Una passeggiata: U4 fino a Karlsplatz e U2 fino a Rathaus. Facilissimo. Sì, ma con tutte quelle borse si è rivelato un autentico inferno.
Insomma, arrivo in ufficio, spiego perché devo lasciare lì le valigie .... e scappo.
Mi tuffo nella metro. Obiettivo: Hotel Sacher. Sono giù di morale, sono stanca, ho un nodo in gola. L'unica cosa che può sciogliere un nodo in gola è, appunto, la Sacher.
Mangio quindi un'ottima Sacher accompagnata da tantissima panna. Un paradiso, davvero.
Allora faccio ancora un giretto per il centro, andandomi a piazzare sotto gli alberi in Stadtpark. Hitze ha colpito in modo davvero pesante.
Mentre faccio per tornare verso il centro, un marpione francese ci prova con me. Ma che è, tutti io li attiro?! E insomma, questo tizio parlava mezzo tedesco e mezzo francese con spiccato accento parigino. Evviva il codeswitching! Mi dice che abita nel 12. Bezirk (che lui da bravo parigino chiama arrondissement) e mi racconta tante altre cose di cui non me ne frega niente e che conseguentemente non ascolto. Vabbé, tagliamo corto. Cortesemente lo saluto e me ne vado di nuovo dentro il Ring.
Trovo un Zielpunkt - amato supermercato!!! - e compro tre yogurt alla Schwarzwälder-Kirschtorte. Quegli yogurt mi mancano già da morire.
A quel punto è ora di tornare in Rathaus per recuperare le mie mille valigie.
Non potendo andare da nessuna parte, mi pianto in Rathauspark per riposarmi un po'.
E a quel punto.... il dramma.
Io sono una maniaca dei sacchetti di plastica. Tutto ciò che non è vestiario deve essere in un sacchetto di plastica. Scarpe, shampoo, balsamo, bottiglie d'acqua...qualsiasi cosa deve essere sacchettodiplasticata.
Da regolamento dovevo svuotare completamente la casa. Per fortuna mi rimanevano solo i barattoli del sale grosso e del sale fino. Il sale grosso l'ho messo nel suo apposito sacchetto. Il sale fino....no. Nella fretta l'ho semplicemente infilato nella borsa del computer. In Rathauspark apro la borsa del computer e quello che vedo mi lascia a bocca aperta. Montagne di sale. Montagne bianche. Sembravo la miglior spacciatrice di Vienna con tutta quella polverina bianca. Rovescio tutto quel dannato sale fuori dalla borsa e controllo che il computer funziona. Per fortuna, tutto a posto.
Però poi mi stanco abbastanza facilmente, e in Rathausplatz non c'è nemmeno una WLAN che prende.
In Volksgarten sì. E allora vado là e mi appendo alla santa WLAN per passare il tempo.
In tre ore circa ripenso a tutto ciò che ho visto, fatto e vissuto durante questi intensissimi 31 giorni e vado ancora a fare l'ultima chiacchiera viennese con Sisi.
A una certa, dopo che il sole sparisce dietro il Parlamento, vado a prendere la metro e mi dirigo verso Wien Meidling.
Del viaggio dico solo pochissime cose: innanzittutto dormire in treno è davvero impossibile per me. O mi date dei sonniferi strapesanti o non chiudo occhio, dannazione. Poi, dormire in uno scompartimento da 6 persone è davvero una partita a Tetris. Un incastro di braccia, gambe, piedi e schiene in mezzo a borse, valigie e quant'altro. In ogni caso la mia strategia di rannicchiarmi in posizione fetale e usare il mio stesso braccio come cuscino si è rivelata vincente. Non ho dormito, ma almeno ero comoda e mi tenevo caldo da sola, dal momento che c'era un'aria condizionata talmente forte che sembrava di stare in Antartide!
Parto da Vienna alle 21h44. Tutto bene finché non stiamo UN'ORA fermi a Salisburgo. In pratica il nostro treno era diviso in due parti: metà delle carrozze sarebbero andate a Zurigo mentre l'altra metà - nella quale mi trovavo io - avrebbero continuato il viaggio in direzione Venezia Santa Lucia. Per smembrare il treno e fare la sosta obbligata siamo stati un'ora in stazione. Che depressione.
Quando arrivo a Villach, per il mio cervello sono già in Italia. Infatti la stazione dopo è Tarvisio, il confine. A Tarvisio si vede decisamente molto bene la differenza tra le stazioni italiane e le stazioni austriache. Come "in che senso"? Andate in Austria, guardate le stazioni e capirete.
Dopo Tarvisio c'è Udine. E io scendo, e sono le 6h20. Dieci minuti dopo sono già a bordo di un regionale ultramoderno e ultrapulito diretto a Trieste Centrale.
Casa. Finalmente casa.
Così si concludono i #31TageInWien.
Che ne sarà ora del blog?
Continuerà a essere aggiornato, naturalmente. In fondo, anche la mia vita qui a Trieste è un viaggio continuo. Non avrà il ritmo di aggiornamento di Vienna, in cui ogni giorno c'era qualcosa di nuovo da visitare e da scoprire, e non parlerà più solamente di turismo ma forse anche di altro. Chissà.
Nel frattempo, ringrazio ancora una volta chi ha avuto la pazienza di leggermi fino a questo momento.
Grazie a tutti!!!!
LaCecy