Ogni tanto dalle telefonate con mamma emerge anche qualcosa di sensato.
Topic di oggi: gli insegnanti e i loro figli.
Mamma è un'insegnante, e io sono sua figlia.
Quando ero alle elementari, mamma la vedevo sempre. Insegnava nella scuola dove andavo io: lei ogni giorno ci stava un quattro-cinque ore, io otto. Dannato tempo prolungato.
Dal momento che io a casa c'ero prima delle otto e dopo le quattro e mezza -e mamma aveva lo stesso orario di lavoro- voi potreste pensare che appena uscita/e da scuola mamma e io stessimo sempre insieme, facendo tutto ciò che una mamma e una figlia insieme possono fare.
E invece ... non era proprio così scontato. Perché, finito l'orario scolastico, a mamma toccavano i collegi docenti (detti anche "collegi indecenti"), le riunioni, le programmazioni (che poi io non ho mai capito che diavolo programmavano!), interclasse, riunioni con gli altri insegnanti del circolo didattico, progetti di omicidio del dirigente scolastico, riunioni per il POF - che non è l'onomatopea delle feci che cadono nel gabinetto ma è il piano dell'offerta formativa (che io non ho ancora capito che cosa sia dopo tredici anni di scuola) - e le riunioni per la continuità sia con le materne che con le medie. Tutti i santi giorni. Quindi diciamo che mamma a casa prima delle sette e mezza di sera non c'era mai.
Cinque anni dopo, approdo alle medie. Grazie al cielo non ho più il tempo prolungato - yeeee! - e quindi torno a casa alle due. Mi aspetta un solitario pomeriggio in compagnia dei miei stramaledetti compiti. E li faccio. Non li capisco, ma li faccio.
E' lì che capisco la differenza tra mamma insegnante e papà informatico. Se non mi viene un'espressione in matematica, mamma me la spiega mentre papà la svolge e me la fa copiare senza spiegarmi i passaggi né dove ho sbagliato. E poi si chiedevano com'è che io di matematica non avessi mai la sufficienza se non grazie a qualche miracolo (o ai bigliettini con le formule nascosti dentro le tavole numeriche).
Al liceo...mamma chi la vede più? Davvero, non c'è mai a casa. E' sempre a scuola. Sempre in quella cavolo di scuola a insegnare a quei cavolo di alunni e a riunirsi con quei cavolo di colleghi coordinati da quel cavolo di dirigente scolastico. Mamma la mattina esce alle otto meno un quarto, insieme a me. Ma, a differenza mia, non torna mai a casa prima delle otto e mezza di sera. Una gioia, vero?
E va da sé che quando mamma torna a casa, dopo millanta ore di scuola, definirla isterica mi pare un eufemismo. Lo vedo che ha la testa che le scoppia e che ne ha per le balle di ascoltare i problemi che possono avere due figlie, una liceale e una ancora alle medie. Però io voglio fare due chiacchiere. Ma no: ha la testa che le scoppia. E allora va da sé che io mi chiudo nel mio mondo. E non è così difficile: basta mettere gli auricolari e attaccarli all'iPod o al computer. Non è affatto difficile. In quel mondo tutto ha senso, tutto funziona. E soprattutto, in quel mondo non mi sento sola. (E poi uno mi chiede perché mi piace stare da sola. Semplice: mi ci sono abituata)
Perché in effetti i figli degli insegnanti passano tanto tempo da soli. Gli insegnanti infatti mettono - come è giusto che sia - il loro lavoro prima della loro famiglia. Ogni tanto chiedevo a mamma se lei sapesse di avere un marito e due figlie, dal momento che c'erano dei giorni in cui non ci incrociavamo nemmeno per sbaglio girando per casa. Mi sentivo dire, giustamente, che quello era il suo lavoro e che di beccarsi tutte quelle riunioni non lo aveva scelto lei. "Mi sembra logico, sennò saresti una deficiente", pensavo.
Mamma trascorre molto più tempo con i suoi alunni che con me e con mia sorella. Ora io vivo fuori e questo è un altro discorso...ma mia sorella, che adesso ha 15 anni, sta passando esattamente quello che ho passato io quando avevo la sua età. (Sembra che stia parlando di un passato preistorico, ma giuro che non sono così vecchia!) Solo adesso forse si sta rendendo conto di cosa vuol dire avere una mamma che è sempre a scuola a fare dell'altro, e che quando hai bisogno di parlare con lei ha la testa che scoppia e l'unica cosa che vorrebbe è il silenzio assoluto. Che non ha, perché ha due figlie. O le figlie o il silenzio. Non hai altre possibilità di scelta, è un aut-aut. O per dirla in tedesco, è un entweder...oder.
L'insegnante, come tutti i lavori, richiede tanta pazienza, attitudine e ... nervi saldi.
Non si può fare contemporaneamente l'insegnante e il genitore.
O il lavoro o i figli.
Un avvocato lavora con documenti. Un informatico lavora con computer. Un biologo lavora con parameci e esserini unicellulari.
Un insegnante lavora per la formazione di persone che saranno gli adulti di domani. Hanno una responsabilità gigantesca. Non possono permettersi di svolgere il loro lavoro alla carlona (o per meglio dire: alla cazzo). Non possono nella maniera più assoluta. Quindi o questo o quello. Non tutti e due. A meno che tu non sia Wonder Woman: in tal caso... ok, tutti e due. Un insegnante, appena arriva a casa, finisce di frantumarsi i nervi dovendo star dietro ai figli. E poi è ovvio che il giorno dopo a scuola non ce la fa e fa la sua lezione con le scatole girate e senza nemmeno un briciolo di entusiasmo. (Ecco perché voi dite che gli insegnanti sono degli incompetenti)
Con questo non intendo dire che gli altri lavori sono meno faticosi, e non voglio neanche dire che solo i figli degli insegnanti vivono questa situazione.
Dico solo che PORCA DI QUELLA MISERIA il prossimo che viene a dirmi che gli insegnanti non si devono lamentare perché hanno due mesi di ferie d'estate, quindici giorni a Natale e una settimana a Pasqua e perché lavorano solo quattro ore al giorno per cinque giorni a settimana si prende una sprangata sulle gengive.
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